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Immagine del redattoreGianluca Laurentini

Dicevano che saremmo finiti per a credere a tutto, invece non crediamo più a niente



Qualche anno fa, quando la fotografia digitale non era ancora assolutamente predominante come oggi e Photoshop stava muovendo i primi passi verso la diffusione globale, mi capitò di leggere un articolo su un quotidiano che metteva in guardia i lettori dai pericoli del fotoritocco. Il concetto che esprimeva il giornalista era semplice quanto affascinante: quando il fotoritocco diventerà così evoluto da essere indistinguibile dal vero faremo fatica a non credere a tutto quello che stiamo osservando, a prescindere dalla sua veridicità. All'epoca questa affermazione aveva perfettamente senso perché tanto nella fotografia quanto nel cinema le elaborazioni digitali, per quanto fatte ad opera d'arte, erano perfettamente distinguibili da ciò che era invece indiscutibilmente la realtà.


Qualche anno dopo, quando il fotoritocco aveva iniziato ad essere così realistico da essere più vero del vero, mi capitò di leggere su una rivista del settore - probabilmente era proprio Fotografare, rivista con la quale iniziai a collaborare stabilmente anni dopo - di una ricerca molto elaborata e ben fatta che evidenziava come la percezione delle stesse identiche foto mostrate a un vasto ed eterogeneo campione di pubblico con modalità differenti dava luogo a risposte differenti da parte degli osservatori. Mi spiego meglio: i ricercatori avevano preso una serie di fotografie di vario genere, alcune erano originali e altre ritoccate in modo più o meno sofisticato. Quando queste foto venivano mostrate su uno schermo di un PC a una parte del campione scelto, le persone avevano molta più facilità a scovare le foto ritoccate e spesso nutrivano dubbi anche sulla veridicità delle foto completamente reali. L'altra parte del campione invece osservando le stesse foto stampate tendeva a crederle tutte o quasi rappresentanti la realtà. In fin dei conti era come se la foto stampata avesse una maggior credibilità data dal fatto di essere un oggetto fisico. Leggere di questa ricerca mi fece venire in mente il primo articolo che ho citato e pensai che forse quel giornalista aveva avuto un'intuizione niente male.


Veniamo ora ai giorni nostri. Il mondo è cambiato in questi anni in un modo così veloce che tendiamo a non renderci conto che quel che diamo per scontato oggi non lo era fino a pochi anni fa. E oggi, guardando quel che sta succedendo in Afghanistan, le tante foto che ci arrivano con ogni mezzo e guardando le reazioni sui social media mi rendo conto che in realtà l’intuizione di quel giornalista e quella ricerca non sono più assolutamente attuali, anzi si è verificato l'esatto contrario di quel che si poteva presumere allora che sarebbe successo. Oggi semplicemente tendiamo a non credere più a nulla. O meglio: probabilmente siamo così impauriti dal credere a tutto che abbiamo finito per non credere a niente. Ci siamo così abituati al fatto che una foto possa essere elaborata che non siamo disposti a credere che quelle vere rappresentino la realtà.


Ogni foto viene oggi passata al setaccio da persone che cercano eventuali incongruenze e se non ce ne sono si cercano comunque forzature che facciano dubitare dell'autenticità della foto. Allora poco importa che nella foto che ho scelto per l'apertura ci siano delle persone che vengono portate via in fretta e furia da Kabul, stipate in modo assurdo pur di riuscire a portarne via il più possibile da un posto dove si è perso ogni concetto di democrazia. Per molte persone che guardano quella foto il problema non è tanto se quella foto sia vera o falsa, ma come potrebbe essere stata falsificata. Non si lascia nemmeno il beneficio del dubbio, si considera scontato che qualcosa sia falso a prescindere. In questo caso alcuni hanno affermato che le persone siano state aggiunte in un secondo momento nella carlinga dell'aereo con una proporzione volutamente sbagliata per cercare di impressionare l'osservatore "inserendo" più gente di quanta fosse possibile portarne. Insomma pensavamo che avremmo fatto fatica a distinguere il falso dal vero e siamo finiti a cercare il falso nel vero.



Si finisce per dubitare del vero anche quando non c'è motivo per ritenere che una cosa sia falsa, prendendo quest'altra drammatica foto di persone che tentano qualsiasi cosa pur di riuscire a salire su un aereo e scappare, anche provando ad aggrapparsi all'esterno non sapendo che la velocità, la mancanza di ossigeno e il freddo comunque non gli lasceranno scampo, c'è chi ha iniziato a dubitare della veridicità della foto. Il motivo? Il primo è che si vede un uomo che scrive al telefono, come se questo dimostrasse qualcosa. Magari quella persona sta scrivendo a qualcuno proprio che sta facendo un tentativo estremo e che non sa come andrà a finire. Il secondo motivo è che le marche dell'aereo sono 1109, quindi secondo il complottaro di turno gli americani avrebbero voluto lasciare una traccia, o forse sarebbe meglio dire un'assonanza, all'11 settembre. Peccato che per gli americani quella data si scriva 9/11! In sostanza si vuole credere che gli americani abbiano inserito un richiamo, ma che questo potesse essere notato solo dai popoli latini.


Mi chiedo perché tante persone siano finite a dubitare di qualsiasi foto che viene pubblicata e, soprattutto, perché tanta gente gli vada dietro. È perché le foto le vediamo sempre su uno schermo e non più stampate? Non penso sia così semplice. È, come affermano alcuni debunker di professione, che credere a tutto tranne che alla verità ci conforta? Ecco, questo potrebbe essere un buon punto sul quale ragionare.


Il problema vero, a mio avviso, non è tanto nel fatto che si metta in dubbio la veridicità una fotografia, ma che lo si faccia senza alcuna pezza d'appoggio e senza il rispetto che i soggetti ritratti meritano. Infatti in questi anni abbiamo visto persone dire che sono false le foto dell'allunaggio - cosa che fa di per sé pochi danni -, ma anche foto di morti in mare o di persone disperate che fuggono dalle guerre. Pensate, in occasioni di tragedie come queste, se invece di perder tempo a cercare qualcosa che non c’è si impiegasse lo stesso tempo a far qualcosa di più concreto per evitare che quella situazione si protragga quanto potremmo stare tutti meglio e vivere più felici.

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