Intervista a Francesco Alinari
Quando hai deciso di dedicarti alla fotografia in maniera professionale, e perché?
> E' stata una fuga non una decisione; Stavo lavorando ad un progetto (non fotografico) piuttosto impegnativo ed ero vicino al 'burnout', cosi un giorno ho letteralmente bigiato le videoconferenze internazionali, le pianificazioni e tutto quel mondo e ho scoperto il potere terapeutico della fotografia, capace di equilibrare la mia parte razionale con quella piu artistica.
Quanto è importante nel tuo lavoro la pianificazione dell'idea che c'è dietro ad ogni immagine, e quanto invece scaturisce dall'improvvisazione legata alle circostanze, al luogo scelto per il set e dalla personalità della modella?
> Per me è importante avere delle idee e mettersi nelle condizioni di realizzarle in termini di 'location' di luce, di trucco se necessario, ma 'pianificare' è un atto razionale ed appartiene all'altra metà del mio mondo. L'atto creativo, fare qualcosa di bello o di notevole, è una sfida e l'improvvisazione è uno dei possibili modi di approcciarsi al creare (forse uno dei piu divertenti). Improvvisare però non vuol dire improvvisarsi, la conoscenza del mezzo fotografico, della luce, del luogo e della gestione del soggetto sono i fondamentali che devono essere acquisiti quasi a livello inconscio per poi poter 'improvvisare' con la dovuta leggerezza.
Che tipo di attrezzatura utilizzi per il tuo lavoro?
> Prevalentemente scatto in digitale con una Nikon D850 (dopo aver macinato tre otturatori della mitica D700) e pochi obbiettivi fidati, 35-70mm f2.8, 85mm f1.8, 20mm f2.8, tra l'altro tutti usati, qualche volta torno alla pellicola per il piacere fisico di sentire la meccanica e l'emozione di sviluppare.
Come scegli le tue modelle? Ti affidi ad annunci, al semplice passaparola, ad agenzie di casting? E' importante Instagram per far conoscere il proprio lavoro ed acquisire nuove occasioni fotografiche?
> Cerco una modella, ma non la voglio troppo bella, se no non ho nulla da offrirle.
La voglio senza esperienza, se no ci vuole troppa pazienza e competenza: quasi quasi preferisco l'astinenza.
La voglio che non si spogli per pudore, ma che resti nuda almeno nello sguardo.
La voglio che si emozioni, che si imbamboli, che si incastri, che inciampi, che cada e picchi forte per terra, che non sappia cosa è una digitale, una analogica, una catodica, una polaroid, un cibachrome, helmut newton, john casablancas, la chapelle, van gogh, picasso, monet, manet e tutti quei pittori (francesi e non) che finiscono in et, in e ot.
Come ti relazioni al soggetto quando scatti un ritratto? Le tue immagini sono il frutto di un rapporto di collaborazione creativa con la modella? O piuttosto sei tu a dirigere ciò che succede sul set?
> Non esiste una regola fissa, con le modelle professioniste è facile sia dirigere per sviluppare un idea precisa che affidarsi alla loro esperienza sulle pose, con le modelle occasionali può succedere di dover dirigere ogni movimento cosi come di essere travolti da un mare di idee (a volte anche eccellenti). Quindi si, c'e' quasi sempre collaborazione creativa.
Una delle difficoltà maggiori quando si inizia a fare ritratto o nudo è quella di maturare la capacità di interazione con le persone (professioniste o no) che ti trovi a fotografare, parlarsi in maniera chiara prima del set sia su cosa si vuole fare sia sul risultato che ci si attende aiuta molto.
C’è una immagine a cui sei particolarmente affezionato di cui vorresti raccontarci i retroscena?
> Stupidamente tante, quasi in ogni set. Ogni persona che ho fotografato mi ha lasciato qualcosa e quasi sempre in bene. Una situazione che ricordo con piacere è legata alla foto della coppia che potete vedere in questa intervista... dopo un ora di treno e di macchina stiamo per arrivare alla location (un edificio montano abbandonato). Improvvisamente il tempo si fa scuro e mentre percorriamo lo sterrato in auto inizia a grandinare. Ci infiliamo di corsa all'interno e la luce è davvero poca, ma chi la ferma una ragazza innamorata della fotografia e del suo ragazzo?
Oggi chi lavora con modelle fa un uso massiccio della postproduzione. Qual’è il tuo orientamento in tal senso?
> quando ho inziato a fotografare il digitale non esisteva... ho sviluppato tante pellicole in bianco nero e a colori e così oggi non ne ho 'nostalgia' e non considero il chimico come 'superiore'. Da un lato cerco di produrre il miglior scatto possibile in camera (ad esempio la foto della ragazza con i capelli blu sulla sedia 'blu feerie' è un jpg preso dalla camera senza modifiche), dall'altro la postproduzione consente di migliorare diversi aspetti o di creare opere immaginifiche. Non mi piacciono le postproduzioni approssimative o di moda.
La fotografia e le altre professioni correlate alla comunicazione stanno attraversando un periodo di grandi cambiamenti e rapide trasformazioni. Quali suggerimenti vorresti dare a coloro che stanno cominciando a lavorare in questo universo?
> Vorrei suggerirgli di trovare il proprio stile, la propria musica senza inseguire in maniera eccessiva like e trend. Una soddisfazione più grande di tanti like è quando qualcuno vede una foto e la riconosce subito come tua. Un altro consiglio utilissimo è quello di fermarsi a leggere le immagini che ci piacciono, di capire perché ci piacciono, di provare a farne una critica... serve metodo, bisogna guardare la composizione, la luce, il messaggio, il formato, ma fornisce quella base di analisi che poi consente di 'sintetizzare' un proprio stile.
Ho mosso i primi passi in fotografia attorno ai 16 anni quando mio padre mi ha regalato una yashica FX3-2000, poi mi sono costruito la mia camera oscura e ho imparato a sviluppare e a stampare bianco e nero e diapositive. Amando la tecnica ed il design inizialmente mi sono dedicato a questi soggetti per poi orientarmi verso il ritratto. Ho iniziato ad occuparmi di computer art, elaborazione dell'immagine e grafica molto presto, su Apple ][ e Commodore 64 (sono del 1970), all'epoca la risoluzione massima era 560x192 pixel (0.1 Megapixel).
L'avvento del digitale (la mia prima macchina fu una Nikon D70) mi ha consentito di affinare la tecnica di ripresa e di accedere al post processing digitale e, nell'epoca del web 1.0 svolgevo il ruolo di critico per diversi siti di fotografia; Questo mi ha consentito di migliorare la capacità di analisi delle immagini e di sintetizzare una mia forma fotografica.
Non penso sia corretto definirmi un professionista (non vivo di fotografia, mi occupo di design e progettazione meccanica) o un amatore (un po' troppa esperienza oramai), e neppure un artista (manca ancora un bel guizzo di genialità per considerarmi tale) e quindi resto nel mezzo, mi godo la fotografia come ricerca personale del bello e come sfida nel realizzare immagini sempre più gradevoli. Nei generi del ritratto e del nudo ho un portfolio abbastanza vasto ed eterogeneo ma non ho mai pubblicato molto o partecipato a mostre e concorsi, vivo la fotografia come un evento quasi privato, una sfida personale e un passatempo piacevole, mi sono lasciato alle spalle ogni desiderio di competizione e mi godo appieno le opere dei miei colleghi talentuosi nella consapevolezza che ogni fotografo vero, nella sua maturità, dà alle sue immagini un inimitabile ed irriproducibile impronta visiva. Non ho la minima idea di come io sia finito qui.