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Immagine del redattoreRodolfo Felici

Considerazioni sul bianco e nero

Aggiornamento: 21 ott 2020

Vorrei prendere spunto dall'articolo appena pubblicato dal collega Gianluca Laurentini, per fare il punto su alcune cose che riguardano il linguaggio del bianco e nero.

(Questo post è un po' lungo, se volete potete saltare le premesse e passare direttamente alla seconda parte).

Gianluca ha ragione, il bianco e nero è un linguaggio, e come ogni linguaggio va conosciuto e soprattutto esercitato. Da molti anni ormai, da quando esiste il digitale, è invalsa l'abitudine di considerare il bianco e nero alla stregua di un filtro vintage, da applicare alla foto a posteriori con l'intento di renderla più interessante o di mascherare gli errori. Questo accade soprattutto ad un livello di competenza medio-basso, o semplicemente perché non si conosce la storia e la filosofia del bianco e nero.


© Rodolfo Felici 2015

Il bianco e nero è stato, per oltre cento anni di storia della fotografia, semplicemente l'unica opzione disponibile.

La fotografia a colori praticamente non esisteva prima degli anni '40, non era disponibile alla massa, e anche quando è arrivata sul mercato per lungo tempo è stata complicata da utilizzare: le pellicole avevano una latitudine di posa bassissima ed erano costose.


La pellicola Kodachrome, ossia la più famosa pellicola positiva a colori in ambito professionale nel periodo dal 1940 al 1970 - in sostanza lo standard editoriale per le immagini a colori - aveva all'inizi una sensibilità dai 10 ai 16 Asa. Poi aumentò a 25 Asa, e successivamente a 64. Lo sviluppo avveniva solamente in laboratori specializzati ed era necessario spedirla per posta. L'Ektachrome, prodotta sempre dalla Kodak, si poteva sviluppare anche a casa ed era considerata più rapida, ma aveva comunque una sensibilità di 32 Asa (ne esisteva tuttavia una versione "high speed" da 160 Asa). La Kodakolor, pellicola negativa a colori, aveva anche essa una sensibilità di 32 Asa.


Per moltissimi anni la pellicola a colori è stata relegata ad un utilizzo in ambiti specifici. Era costosa, difficile da gestire e da stampare, la scarsa latitudine di posa richiedeva un controllo sull'esposizione che andava al di là delle capacità del fotoamatore medio e la rendeva comunque scomoda per l'uso professionale. Non tutte le fotocamere erano dotate di un esposimetro, ed era comune valutare l'esposizione a occhio, secondo la regola del 16 o altre tabelle, per poi recuperare i dettagli in fase di stampa sfruttando l'estesa latitudine di posa della pellicola bianco e nero. Per tutti questi motivi, la pellicola bianco e nero è rimasta il supporto preferito in ambito professionale per moltissimi anni, prescelta soprattutto da chi affondava le sue radici in tradizioni stilistiche consolidate (come quelle del foto giornalismo in stile Life e Magnum, o della fotografia naturalistica di Ansel Adams ed Edward Weston). Per molto tempo la fotografia a colori è stata considerata uno strumento espressivo legato alla fotografia popolare, buono per le foto delle vacanze, ma non adatto ad una fotografia "colta". Uno dei primi a sdoganare la fotografia a colori in ambito artistico fu Stephen Shore, il quale nel 1976 espose al MoMA il suo lavoro in una personale.

Tuttavia l'uso del colore era in quel caso funzionale ad un discorso: Shore proveniva dalla factory di Andy Warhol, praticamente il luogo dove è nata la pop-art, per cui l'uso di un medium artistico popolare non è da considerarsi una eccezione a quanto già detto, ma semmai una conferma. Shore stava consapevolmente utilizzando la fotografia a colori, ossia un medium considerato popolare, per fare arte e per rompere gli schemi. Il bianco e nero è stato a lungo considerato l'unico linguaggio adatto alla fotografia "colta" anche a causa delle motivazioni pratiche che abbiamo appena esposto.

Tuttavia, chi ne faceva o ne fa tuttora un uso esclusivo ha sempre motivato la cosa anche la cosa anche in altro modo: la fotografia monocromatica è il linguaggio più adatto a raccontare per immagini le situazioni perché c'è una variabile in meno da controllare.

Pensiamo ad esempio alle foto di Henri Cartier-Bresson: oltre alla composizione, all'uso della luce ed all'istante decisivo, uno come lui avrebbe dovuto ponderare anche il peso che i vari colori assumono nell'immagine. Meticoloso come era, sarebbe stato costretto a scartare alcune delle sue foto più celebri perché magari uno dei soggetti indossava un maglione rosso, e l'occhio invece di cadere sull'azione, all'incrocio delle diagonali o al centro della spirale logaritmica inscritta al rettangolo aureo, cadeva sul vestito rosso.

In realtà, come ha sempre sostenuto chi scatta esclusivamente in bianco e nero, si può sostenere il contrario: non è necessario imparare il linguaggio del bianco e nero; è necessario imparare ad usare il colore!

Saper gestire il colore, ovvero addestrare la mente a riconoscere al volo il ruolo e il peso che hanno i colori nell'immagine, è in effetti più complicato rispetto al fotografare in bianco e nero, poiché aggiunge una variabile alla equazione che ha come risultato la realizzazione di una buona foto. Non a caso, le immagini che funzionano bene a colori spesso hanno una paletta uniforme, o un colore prevalente, e sono in sostanza quasi monocromatiche. Altre volte contengono pochi colori che si bilanciano bene fra loro. Capita anche di fotografare particolari o oggetti che sarebbero quasi insignificanti in bianco e nero, ma che diventano interessanti proprio grazie al colore. In questo è stato un precursore Stephen Shore, il quale, tuttora in attivita, è oggi uno degli Instagrammer più seguiti. A ben vedere, molta della fotografia che si trova attualmente su Instagram è inconsapevolmente debitrice al lavoro di Shore. Si pensi alle foto a colori che hanno vinto di recente il concorso indetto dalla Apple "Shot on iPhone", e a quanto alcune di esse assomiglino ai lavori degli anni '70 dell'artista americano.


 

E ora arriviamo a quanto vi ho promesso nel titolo!

Come di certo saprete, Leica ha realizzato e vende alla considerevole cifra di 7mila euro la Monochrom, ossia una fotocamera con cui è possibile scattare solo foto in bianco e nero. Ovviamente qualsiasi fotocamera in commercio è in grado di scattare in bianco e nero, anche se ci sarebbe tutto un discorso teorico da fare sulla matrice di Bayer e sulla gestione delle informazioni da parte del sensore. All'atto pratico però, da quando esiste il digitale, una foto può essere convertita in bianco e nero in-camera o off-camera con una facilità mai vista prima, regolando anche lo spettro luminoso a posteriori e simulando così i risultati che sulla pellicola si ottengono con l'impiego di filtri colorati. Il vero motivo per cui Leica costruisce e vende una fotocamera che scatta solo in bianco e nero è perché conosce i suoi utenti, e sa che da quando c'è il digitale sono orfani di una esperienza. Da tempo ormai il bianco e nero è percepito come un filtro da applicare a posteriori su delle foto scattate a colori; nonostante sia vero che l'occhio umano percepisce il mondo a colori, chi è abituato a scattare in bianco e nero sa bene che nella mente, dopo anni di esercizio, scatta qualcosa: la capacità di astrarre la realtà tenendo conto solo della luce, della situazione, delle proporzioni e delle forme, ignorando i colori.

Si può considerare come il frutto della previsualizzazione del risultato finale, ma a mio parere è invece una conseguenza della acquisita consapevolezza, attraverso l'esercizio, che la fotografia è  una rappresentazione. Il fatto di poter sfornare solamente immagini in bianco e nero, quando si usa una pellicola monocromatica, ricorda costantemente al fotografo quali sono i suoi limiti: ciò che uscirà dalla sua fotocamera sarà sempre e comunque una rappresentazione della realtà, e non una porzione di essa. Il bianco e nero aumenta il divario fra realtà percepita e realtà rappresentata, e perciò di fronte ad un tramonto non si cercherà più di fotografare i colori che assume il paesaggio, nel vano intento di portare a casa un rettangolo di carta che ambisce a contenere un pezzetto di quella realtà. Non potendo rappresentare il mondo a colori, si finirà per concludere che l'unica mossa vincente è rappresentare quella stessa realtà attraverso la metafora, volgendo l'obiettivo altrove, sulle ombre lunghe lasciate sulla sabbia da una staccionata, o sulla silhouette degli alberi attraversati da una luce radente. Scattare per un lungo periodo esclusivamente in bianco e nero può costituire un'ottima palestra, è un esercizio molto liberatorio nei periodi di stasi creativa, e torna molto utile qualora si decida di tornare ad utilizzare il colore, perché a quel punto lo si farà con una nuova consapevolezza. Proprio perché siamo ormai abituati a considerare il bianco e nero come una foto a colori a cui è stato sottratto qualcosa, e non come una delle tante maniere per raccontare la realtà attraverso una sua interpretazione, potreste scoprire che questo esercizio è più difficile del previsto. Scattare direttamente in bianco e nero ormai richiede coraggio. Nel 2019 qualsiasi cosa sia diverso da un Raw alla massima risoluzione, privo di compressione e perfettamente a fuoco, viene considerata da molti una fotografia a metà. Scattare in Jpeg per molte persone è un eresia, perché con la compressione si perdono dei dati, figuriamoci scattare in bianco e nero.

Un tempo invece si diceva che "Non c’è niente di peggio di un’immagine nitida di un concetto sfuocato" (Ansel Adams); basta guardare le foto di Cartier-Bresson per intuire che ai suoi tempi si era molto meno ossessionati dalla perfezione tecnica di quanto non lo siamo oggi. Si badava contenuto più che al micromosso. Leica, che conosce bene i suoi fan e la loro nostalgia per quell'epoca d'oro della fotografia, ha creato la Monochrom per vendere loro una emozione. Per soli 7mila euro possiamo comprare la possibilità di tornare all'essenza della fotografia, di scattare in bianco e nero, senza autofocus, come i grandi del passato, eliminando i colori, che sono solo una distrazione. Ci vuole coraggio a scattare così nel 2019. Ma allora, perché accontentarsi di una esperienza a metà? Se vogliamo provare l'ebrezza della Fotografia con la F maiuscola, il piacere di un bianco e nero "croccante", pieno di sfumature di grigio, di una fotografia che si concentra su messaggio e composizione senza lasciarsi distrarre dal colore, se vogliamo meditare ogni scatto focheggiando a mano e valutando l'esposizione prima di azionare l'otturatore, se per noi è importante il full frame, beh allora... perché mai dovremmo spendere 7mila euro per comprare la Monochrom ed accontentarci di un compromesso? Perché non scegliere invece di acquistare a 100€ o poco più una Olympus OM, una Nikon F, una Nikkormat, una Nikon FE, una Pentax MX, una Canonet GIII QL-17, una Yashica Mat, o una qualsiasi altra fotocamera a pellicola che abbia fatto la storia della fotografia? Probabilmente non c'è neppure bisogno di acquistarla, ne avete certamente una nell'armadio, o in quello dei vostri genitori.

Con i soldi che spendereste per una Monochrom ci si possono comprare tante pellicole, più di quante se ne possano scattare in una vita probabilmente. Facciamo un rapido calcolo: un rullo da 36 pose in bianco e nero 400 iso può costare dai 5 ai 7 euro, se acquistato nei posti giusti. Il costo del solo sviluppo in un laboratorio è di 3,5€. Uno scanner per negativi, come l'Epson Perfection V370, costa 116€. Con 7mila euro, tolti i soldi dello scanner, possiamo comprare e sviluppare 809 rulli, per un totale di 29mila scatti: ci vuole un bel pò di tempo per scattare così tante foto usando il bianco e nero! Alla fine, avendo utilizzato la pellicola, non avremo in mano dei file Raw, bensì una gran quantità di negativi, che volendo potrete anche decidere di stampare in proprio allestendo una camera oscura. Oppure potreste affidarli ad un laboratorio specializzato, ottenendo delle vere stampe bianco e nero su carta baritata, qualcosa che con la Monochrom non potreste ottenere mai! Stesso discorso vale ovviamente per il medio formato, ambito in cui l'utilizzo della pellicola ha ancora più senso. Come dicevo ci vuole coraggio per uscire quotidianamente di casa con una fotocamera che scatta solo in bianco e nero, che non può fare filmati, priva di uno schermo per rivedere le foto appena scattate, e che lavora ad una sola sensibilità prestabilita per tutto il rullo. Tutto questo però fa parte del piacere di usare la pellicola. Usare una  fotocamera analogica, caricata con pellicola bianco e nero 400 ISO, è una esperienza che coinvolge quattro dei sensi, tatto, udito, vista e olfatto. Guardate il video che segue.


Io l'ho fatto per anni, alternando l'utilizzo di varie fotocamere a pellicola, poi nel 2012 mi sono impigrito ed ho perso il coraggio. Non è stata una Monochrom a traviarmi, bensì una Fuji X-E1 con uno zoom 18-55. La foto che avete visto all'inizio di questo post è scattata con quella macchina. E' stata la prima Fuji X che ho acquistato, poi sono arrivate altre a farle compagnia. È una serie di fotocamere che adoro. I file sfornati dalle Fuji X son talmente belli, e la sensazioni di utilizzo son talmente simili a quelle di una fotocamera a pellicola, che riesco più a farne a meno. Non passa giorno che esca di casa senza una Fuji X al collo. Qualche giorno fa però, dopo aver visto la mostra di Damiano Rosa di cui vi abbiamo parlato, mi è tornato il coraggio di uscire portando con me solamente una Nikon F senza esposimetro ed un 50mm f1.4. Mi son ricordato improvvisamente cosa mi son perso in tutti questi anni di vita comoda, fatta di autofocus, scatto continuo, foto illimitate e ISO fino a 6400, e sono subito corso a rispolverare le vecchie compagne di avventura. Mi siete mancate!


P. S.: siccome siamo nel 2019, anche uscendo di casa con una fotocamera a pellicola si può comunque fare affidamento sul proprio smartphone. È utile come esposimetro, grazie alla fantastica app Lightmeter (che trasforma lo smartphone in un Lunasix), ed è comunque a portata di mano per far foto di documentazione e filmati da condividere istantaneamente, cosa che con la Monochrom (e con qualsiasi altra fotocamera) comunque non si può fare. Uno smartphone dotato di un buon comparto fotografico è il miglior compagno della vostra fotocamera analogica!

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