Le correzioni in camera oscura prima dell'avvento di Photoshop
Vi siete mai chiesti da dove derivino i termini che danno nome ai principali comandi di Photoshop, quali "scherma" (dodge), "brucia" (burn), gradiente (gradiation) e maschera (mask)?
Sono tutti termini che provengono dalla camera oscura tradizionale, e che fanno riferimento a gesti e a tecniche ben note agli stampatori professionisti.
Anche i simboli grafici utilizzati sui tasti dei comandi "scherma" e "brucia" fanno riferimento agli strumenti utilizzati in camera oscura, ossia un pezzetto di cartone nero su un bastoncino per "scherma" ed una mano che forma un cerchio per "brucia"
Chi ha esperienza di camera oscura mi perdoni, per lui non starò raccontando delle ovvietà. Questo post è soprattutto pensato per chi non ha mai stampato una foto in maniera tradizionale ed è affascinato da un mondo che ha solamente sentito raccontare.
Stampare in camera oscura è sempre stata un'arte, fatta di gesti pazienti e rituali, che gli stampatori conoscevano e si insegnavano l'un l'altro. I grandi fotografi della storia hanno avuto quasi tutti il proprio stampatore di fiducia, perché stampare bene un'immagine e saperla interpretare, tirando fuori da un negativo tutto ciò che può raccontare, richiede competenze ed abilità specifiche che non necessariamente un fotografo, per quanto esperto, possiede.
I fotografi della agenzia Magnum ad esempio si affidano da sempre a Picto, un leggendario laboratorio fondato da Pierre Gassmann, lo stampatore di fiducia di Cartier-Bresson.
L'editing in fase di stampa non è certo nato con Photoshop. Prima del noto software della Adobe, le immagini venivano corrette (o sarebbe meglio dire interpretate) in fase di stampa tanto quanto lo si fa oggi, o almeno lo si faceva per le stampe di un certo livello.
Qui sotto potete vedere la celebre foto di James Dean a Time Square con le annotazioni di Pablo Inirio (maestro stampatore della Magnum) relative alle zone da sovraesporre e sottoesporre, accuratamente segnate su una stampa di prova che veniva archiviata insieme al negativo per poter replicare il risultato in edizioni successive.
Per inciso, su questo celebre servizio fotografico e sull'amicizia che legava il fotografo della Magnum Dennis Stock e James Dean è stato realizzato un film nel 2015, Life, che vi consiglio di noleggiare su Youtube.
Per celebrare i 25 anni di Photoshop, un professore di fotografia dell'Oklahoma Arts institute, Konrad Eek, ha realizzato un interessante video che vi proponiamo dove illustra i parallelismi fra i procedimenti tradizionali utilizzati in camera oscura ed i comandi analoghi che ritroviamo in Photoshop.
Il video è in lingua inglese (con sottotitoli automatici), ma molto chiaro ed istruttivo.
Eek illustra i processi di bruciatura e schermatura, utili per sovraesporre o sottoesporre delle porzioni dell'immagine esponendole per un tempo differente rispetto a quello globale impostato tramite il timer, mostra l'applicazione di un gradiente tramite l'utilizzo di un cartoncino e quello di una maschera per isolare il cielo dal resto dell'immagine.
Mostra anche come quest'ultima possa essere applicata sfumando l'area di selezione in maniera analoga a quanto è possibile fare con il comando "tolleranza" in Photoshop.
La differenza fra l'immagine priva di correzioni e quella stampata a regola d'arte alla fine del filmato, è evidente. Con gli accorgimenti mostrati è possibile recuperare dettagli nelle luci alte o nelle zone in ombra che altrimenti andrebbero persi, e dare vigore espressivo ad una stampa che altrimenti risulterebbe piatta.
Photoshop, dalla sua introduzione nel 1988 ad oggi, ha rivoluzionato un intero settore lavorativo velocizzando le operazioni ed automatizzandole, in maniera analoga a quanto accadde nel 1881 con l'invenzione della Linotype, che rivoluzionò la stampa a caratteri mobili automatizzandola. Prima di allora, la composizione di una matrice per la stampa di una pagina di un libro era una meticolosa operazione manuale, svolta da operatori abituati a leggere e a scrivere al contrario visto che i caratteri andavano inseriti in telai che erano il negativo della stampa finale. La Linotype consentiva di scrivere direttamente il testo su una macchina da scrivere, fondeva automaticamente i caratteri tipografici in piombo e li disponeva sulle matrici, e questi potevano persino essere riciclati dopo l'uso. Anche allora ci furono proteste da parte degli operatori del settore, in quanto l'automatizzazione comportò una importante riduzione dei posti di lavoro.
La Lynotipe è stata a sua volta completamente soppiantata dalla cosiddetta "stampa a freddo", ovvero dal Mac con cui vi sto scrivendo.
Al seguente link potete vedere una interessante galleria di immagini celebri affiancate agli appunti di stampa: