Robert Zemeckis realizza un film sull'aspetto terapeutico della fotografia
Il prossimo film di Robert Zemeckis (Ritorno al Futuro, Forrest Gump, Cast Away) sarà un film sull'aspetto terapeutico che può avere la fotografia, come si può dedurre anche dal trailer.
Il film, in uscita a marzo, racconta la storia vera di Mark Hogancamp, il "fotografo senza memoria" come è stato definito dai giornali.
Hogancamp è stato un muratore, un marinaio nella marina militare, un carcerato ed uno showroom designer. A causa di un fortissimo trauma dovuto ad una violenta aggressione perse completamente la memoria. Ricominciò a costruire il suo mondo nel giardino di casa, costruendo un diorama di una città belga ambientato durante la seconda guerra mondiale, popolandola di bambole ed action figures che rappresentavano se stesso e le persone importanti della sua vita. Attraverso il gioco ricreò i momenti salienti della sua vita, riappropriandosi poco a poco di ricordi ed esperienze vissuti.
Cominciò ad inventare storie di fantasia che lo aiutarono ad elaborare il trauma vissuto, e a fotografare le scene con una vecchia Pentax, creando una specie di fotoromanzo che finì per essere pubblicato sulla rivista Esopus e poi per essere esposto in una mostra a Manhattan.
In fondo tutti noi usiamo la fotografia per ricostruire il nostro passato e riscriverlo, selezionando solo ciò che ci piace ricordare. Il signor Hogancamp è andato oltre, ricostruendo e riscrivendo i ricordi di una vita attraverso un gioco simbolico.
Nel 2010 il regista Jeff Malmberg ha realizzato un documentario sulla vicenda, "Marwencol, il villaggio delle bambole“ [https://youtu.be/aUVcdt6xF60].
Al seguente link potete trovare articolo di Eleonora de Gaetani su arte, fotografia e terapia che ben riassume la relazione fra i due mondi [http://www.psychiatryonline.it/node/5714]; ve ne riporto un estratto:
"La fotografia terapeutica, si rifà a tutti quegli interventi mirati che utilizzano la fotografia come facilitatore, che promuovono la presa di coscienza di sé e della realtà circostante.
Freud stesso paragonò il funzionamento dell’apparato psichico dell’individuo a una macchina fotografica, poiché la psiche, durante il sonno, converte l’energia psichica in immagini come “correlativo oggettivo” delle emozioni o tensioni del profondo. Allo stesso modo la fotografia è il risultato delle pulsioni interne, che occorre poi decifrare razionalmente. Ne segue una funzione riparatrice, poiché attraverso l’analisi e l’elaborazione, il soggetto può accedere a traumi e pensieri da elaborare.
Fotografare vuol dire guardare nel mirino e “scegliere” una parte di mondo, cosa riprendere, come riprenderlo. Allo stesso modo una persona guarda dentro di sé e sceglie come essere, cosa dire, come comportarsi: un processo attivo in cui unico filtro è l'individuo. La realtà interiore percepita come esterna permette di evitare il confronto con gli aspetti difficili del proprio sé. Le foto scattate permettono in primis di esserne l'autore ma successivamente di porsi anche come spettatore e quindi come lettore della propria realtà personale.
La fotografia offre un’esperienza sicura di essere visti e ascoltati, poiché essa parla al posto del paziente in una lingua fatta di immagini."
Qui un articolo sul fotografare se stessi come strumento di cura in psicoterapia: