La Canonet G-III QL17 e le fotocamere a telemetro degli anni '70
Fra la metà degli anni '60 e l'inizio degli anni '80 ciascuno dei principali produttori di fotocamere inserì nel suo listino delle fotocamere a telemetro ad ottica fissa. Si trattava di modelli che oggi potremmo considerare prosumer: erano macchine pensate per fotoamatori o famiglie, dotate perlopiù di obiettivi normali 40mm.
Un obiettivo, lo ricordiamo, si definisce "normale" quando la sua lunghezza focale è uguale alla diagonale del formato della pellicola, per cui sul formato della pellicola 24x36, cioè quella dei tradizionali rullini 35mm, l'ottica normale risulterebbe essere un 43mm, e non il 50mm come si utilizzava in tutte le reflex dell'epoca. L'ottica normale è quella che risulta avere una resa prospettica più simile a quella percepita dall'occhio umano, e che quindi rappresenta la realtà nella maniera che percepiamo più naturale.
Le fotocamere a telemetro ad ottica fissa erano estremamente diffuse perché, come le mirroless di oggi, erano molto comode da trasportare ed usare in viaggio o in vacanza, al contrario delle reflex dell'epoca, le quali erano allora grosse e pesanti (anche se mai come quelle di adesso). La spinta alla miniaturizzazione delle reflex avvenne a partire dal 1972, con la presentazione a Photokina della Olympus OM, che tutte le case si affrettarono ad imitare.
Non tutte le telemetro ad ottica fissa erano dotate di lenti eccezionali. Tuttavia alcune delle top di gamma erano dotate di ottiche molto luminose, basate sullo schema ottico doppio Gauss, con una apertura massima del diaframma che poteva arrivare fino a f1.7. Fra queste, possiamo citare le Canonet G-III QL17 (un nome insolitamente lungo per una piccola fotocamera), la Olympus 35 RD (praticamente la sua gemella) e la Yashica Electro 35.
La cosa bella di queste fotocamere è che le loro ottiche hanno una resa eccellente anche quando usate a tutta apertura.
Non sembrerebbero progettate per lavorare a diaframmi intermedi come la maggior parte degli obiettivi in circolazione, per i quali la modalità a tutta apertura è da considerarsi una emergenza, qualcosa da usare in caso di necessità. Sembrerebbero invece pensate per lavorare sempre a f1.7, per sfruttare al massimo la luce ambientale scattando ad un trentesimo di secondo o anche meno evitando l'uso del lampeggiatore, nella migliore tradizione delle fotocamere a telemetro.
Vi parlo per esperienza personale, ma è una opinione diffusa riscontrata da varie fonti. Sarei molto contento di conoscere il vostro parere a riguardo, potete lasciarlo nei commenti.
Con una Canonet QL17 o con fotocamere analoghe è possibile scattare con la sola luce artificiale disponibile in un qualsiasi appartamento anche la sera dopo il tramonto, scattando a tutta apertura, a 400 iso ad 1/30 di secondo o anche meno. Utilizzando una pellicola in bianco e nero 400iso, magari tirata a 800iso, si ha l'impressione di poter competere con le elevate sensibilità di un sensore attuale.
Contribuisce a realizzare questa magia l'otturatore centrale, comune a tutti i modelli soprelencati.
Come è noto, su una fotocamera a telemetro è possibile scattare a mano libera anche utilizzando tempi molto bassi senza i problemi di micromosso dovuti al ritorno dello specchio. L'assenza dello specchio consente di guadagnare almeno uno stop rispetto ad una fotocamera reflex. È questo uno dei vantaggi che caratterizzano anche le odierne mirrorless.
Per inciso, mirrorless è il nome che il mercato si è dovuto inventare per dare un nome alle fotocamere a telemetro, visto che sulle odierne fotocamere dotata di autofocus il telemetro non ha più ragione di esistere. A livello semantico è strano però che si sia deciso di definire qualcosa a partire dall'assenza di una caratteristica tecnica piuttosto che da una presenza. Le reflex, dagli anni '70 in poi, si sono talmente imposte sulle fotocamere a telemetro che per far tornare in auge queste ultime è stato necessario chiamarle con in altro nome, mirrorless, "senza specchio", definizione un po' ridicola per dire non-reflex. Ma le fotocamere sono nate prive di specchio, e per cento anni è stata la assoluta normalità non averlo. Lo specchio comporta dei vantaggi ma anche una serie di compromessi ed è stato introdotto si può dire nel 1959 con la Nikon F, identica alle copie Contax a telemetro prodotte da Nikon fino a quel momento con l'aggiunta di un pentaprisma e di uno specchio a ritorno automatico, che allora era una novità assoluta. Per fare un paragone automobilistico, è come se ad un certo punto, passata la moda di SUV e Crossover, si decidesse di chiamare le utilitarie "auto non-4x4" per rilanciarle sul mercato, quando per un'auto il fatto di non avere la trazione integrale è la normalità dei casi.
Il fatto di disporre di un otturatore centrale invece, anche per una fotocamera a telemetro, NON è la normalità dei casi. Questa è una peculiarità di alcuni modelli. Leica e Contax per dire non lo avevano, e neppure i loro cloni russi o giapponesi (Kiev, Zenit, Canon o Nikon che fossero). L'otturatore centrale lo hanno solo quelle fotocamere a telemetro che dispongono di un'ottica non intercambiabile, oppure fotocamere ad ottica intercambiabile molto blasonate e costose, come l'Hasselblad 500C/M, le quali hanno un otturatore integrato in ciascun differente obiettivo.
L'otturatore centrale in inglese si chiama leaf shutter, ed è un otturatore formato da tante lamelle, simili a foglie disposte a raggiera, che si aprono a partire dal centro per far passare la luce, esattamente come un diaframma. Sono più complessi da costruire e costosi rispetto ad un otturatore sul piano focale (focal-plane shutter), e possono essere collocati fra gli elementi che compongono l'obiettivo. Un otturatore centrale produce una quantità di vibrazioni pressoché nulla. È possibile porre una monetina di taglio sopra una Hasselblad, come dimostra il seguente video, e scattare senza farla cadere
Ebbene la Canonet, oltre a non avere uno specchio (e ad essere quindi tecnicamente una mirrorless) dispone di un otturatore centrale, così come la Olympus RD o la Yashica 35. A differenza della Yashica 35 però, Canonet ed Olympus sono dei gioielli della tecnica che consentono di scattare in manuale ed anche senza batterie, perché queste servono solo per l'esposimetro. Entrambe funzionano come un orologio meccanico anche quando le pile si esauriscono.
La Canonet G-III QL17, con il suo nome insolitamente lungo e misterioso fu la punta di diamante della linea Canonet, e si può ben dire che abbia contribuito a rendere Canon il gigante che è ora, visto che con riuscì a vendere 1.2 milioni di pezzi in dieci anni dal 1972 al 1982. In USA vi era una fotocamera a telemetro come questa praticamente in ogni famiglia prima dell'avvento delle compatte point-and-shoot e del nuovo trend di reflex piccole e compatte lanciato dalla serie OM dell'Olympus nel 1972, cui seguirono la Nikon FM, Pentax ME e simili.
La Canonet G-III QL17 fu allo stesso tempo il miglior modello mai prodotto della serie Canonet ed il suo canto del cigno. Dopo di lei non furono prodotte altre Canonet. Nel frattempo il mercato si era orientato verso le piccole nuove reflex.
Per molto tempo le Canonet si sono trovate in vendita a prezzi incredibilmente bassi, ora sembra che il mercato abbia riscoperto le qualità di questo tipo di fotocamere e gli stia dando il giusto valore.
Se ne trovate una, mettete in conto la possibilità che sia necessaria una CLA (cleaning lubrification and adjustment) da un fotoriparatore professionista, ma potrebbe valerne la pena per avere una fotocamera in perfetto ordine. Con l'occasione si potrebbe regolare anche la fotocamera con l'utilizzo con le normali batterie attuali da 1,4v. Quelle dell'epoca infatti erano al mercurio (attualmente vietate) da 1,35v, e la lieve differenza di voltaggio potrebbe causare foto leggermente sottoesposte (cosa comunque facilmente risolvibile in fase di stampa o scansione per via della ampia latitudine di posa della pellicola, soprattutto se scattate in bianco e nero). Tutto ciò ovviamente se avete intenzione di utilizzare l'esposimetro, se utilizzate la fotocamera in manuale con un esposimetro esterno non c'è alcun problema. Esistono anche degli adattatori in vendita su amazon che possono ovviare definitivamente a questo problema
Perché un nome così insolitamente lungo per una fotocamera così piccola? G-III stava per "terza versione", come MkIII sulle Canon attuali. Il 17 voleva indicare l'apertura 1.7 (esistevano anche i modelli 1.9 e 2.8, chiamati ovviamente Canonet 19 e Canonet 28), mentre QL indicava la presenza del sistema "Quick Loading", un comodissimo sistema ideato da Canon per caricare la pellicola senza preoccupazioni. Non era necessario agganciarla sul rocchetto: un pressapellicola faceva tutto il lavoro, ed un indicatore sul dorso con delle barre rosse e nere consentiva di verificare l'avanzamento.
La Canonet e la Olympus RD sono pressoché identiche come ingombri e peso alla blasonata Leica CL, ma costano una frazione del prezzo. Non offrono ovviamente la possibilità ovviamente di cambiare l'obiettivo, ma chi ne ha veramente bisogno? Il loro design, dimensioni, e tipologia ha ispirato quaranta anni dopo la Fuji X100, capostipite della serie X della Fuji, che ha le medesime caratteristiche costruttive, compresa l'ottica fissa e l'otturatore centrale.
Concludo ricordando che la Canonet è stata la protagonista principale del film Pecker, uscito nel 1998, un film che personalmente non sono mai riuscito a finire di vedere (forse non lo farò mai) perché fin troppo didascalico e retorico per i miei gusti. Non credo di volervelo consigliare. Si vede una Canonet praticamente in ogni scena usata dal protagonista, ma non si tratta della QL17, ma di un più economico modello 28, ossia dotato di un'ottica F2.8.
Per approfondire:
(gruppo Flickr che raccoglie foto scattate con la Canonet)
Le foto che potete vedere qui sotto sono state scattate da me con la Canonet G-III QL17, pellicole varie 400 iso per lo più sviluppate con Agfa Rodinal.