Agli albori della fotografia a colori
La fotografia a colori è per noi oggi qualcosa di assolutamente scontato, ma c'è stato un tempo in cui questa era vista come un sogno irrealizzabile dai fotografi.
Si cominciò colorando l'immagine, con il procedimento inventato dall'incisore svizzero Isenring nel 1840, il quale colorava i dagherrotipi con colori in polvere. Intorno al 1860 si coloravano i ritratti e le foto stereoscopiche con vernici all'albume.
La prima foto a colori fu opera di James Klerk Maxwell, proprio il fisico scozzese autore delle famose leggi di Maxwell. Maxwell scoprì che la fotografia a colori poteva essere realizzata sovrapponendo filtri rossi, verdi e blu. Nel 1861 fece fotografare da Thomas Sutton tre volte un tartan scozzese mettendo sopra l'obiettivo tre filtri di diverso colore. Le tre immagini furono poi sviluppate e proiettate su uno schermo con tre proiettori differenti. Una volta messe a fuoco sullo stesso punto ne scaturì l'immagine a colori, la prima nella storia.
Nel 1869 il pianista francese Louis Ducos du Hauron ideò il primo vero processo fotografico per la fotografia a colori. Era necessario scattare tre negativi, uno per ciascun colore, realizzati con apparecchi speciali come la "Bermpohl-NaturfarbenKamera" o la "Jos-Pe Farbenkamera" del 1925 che vedete all'inizio di questa pagina. Ottenute tre diverse matrici colorate, si poteva comporre un negativo a colori.
Nel 1907 la ditta Lumière ideò il procedimento Konraster (letteralmente mosaico o reticolo a colori), il quale semplificò moltissimo la lavorazione. Il procedimento venne poi perfezionato nove anni dopo, nel 1916, dalla Agfa AG.
Si utilizzava una lastra di vetro ricoperta di granuli di fecola verdi, rossi e blu, e sopra di essa veniva stesa una emulsione pancromatica in bianco e nero.
Il procedimento richiedeva tempi di posa di diversi minuti, e perciò era adatto solamente a soggetti statici.
Le prime pellicole a colori invertibili arrivarono solamente nel 1935/36 ad opera di Agfa e Kodak. La pellicola a colori a tre strati con sviluppo cromogeno era stata progettata da Rudolf Fisher nel 1911, ma fu possibile realizzarla solamente venticinque anni dopo.
Con questo tipo di pellicole fu possibile finalmente realizzare fotografie a colori utilizzando normali apparecchi fotografici, e si inaugurò perciò l'era moderna della fotografia a colori.
Nel 1939 venne introdotto il sistema Agfacolor negativo/positivo, che facilitò la realizzazione della stampa su carta a colori.
A questo si ispirarono tutta una serie di procedimenti analoghi, come il Gevacolor e il Ferraniacolor, che apparvero dopo la seconda guerra mondiale.
Il Kodakolor, introdotto nel 1942, si basa invece su un altro procedimento. Prodotto dagli anni '50 alla prima metà degli anni '70, si sviluppava con un procedimento chiamato C22, diverso dall'attuale C41. Se si prova a sviluppare una pellicola C22 con il procedimento attuale, l'immagine viene perduta. Il C22 prevedeva dieci passaggi, tutti da effettuare ad una temperatura dai 23 ai 25 gradi, e il tempo complessivo per lo sviluppo era di ben 55 minuti, una enormità rispetto ai 12 minuti necessari per sviluppare con il C41. Attualmente pochissimi laboratori al mondo sviluppano ancora rulli di questo tipo, sono localizzati principalmente nel regno unito, e il costo è di trenta sterline a rullo.
Poi venne il procedimento C41, e ovviamente il digitale.
Il sensore che usiamo oggi è effettua un tipo di filtraggio RGB molto simile a quello usato da Maxwell nel 1869. Ogni photosite sul CCD viene colorato da un filtro, rosso verde o blu. Questa combinazione di filtri viene chiamata allineamento (array) di filtri a colori (color filter array).
Grazie a questi filtri, il CCD può produrre immagini distinte, e incomplete, di colore rosso, verde e blu. Le immagini sono incomplete perché se prendiamo ad esempio quella rossa, ad essa mancano tutti quei pixel coperti da un filtro blu, e viceversa l’immagine blu manca dei pixel coperti da un filtro rosso. E ad entrambe mancano tutti quei pixel coperti da un filtro verde. In pratica il sensore utilizza un terzo dei photosite per ciascun colore.
Per realizzare un’immagine a colori completa, viene utilizzato un metodo di interpolazione chiamato processo di demosaicizzazione che si basa su algoritmi estremamente sofisticati. L'efficiacia di questi algoritmi, e la disposizione dei photosite secondo differenti matrici è uno degli elementi che contraddistinguono la qualità di una fotocamera.