La fotografia è probabilmente una delle invenzioni più importanti per l'umanità dopo la ruota: è una macchina del tempo a senso unico che ci consente di tornare sulla scena di importanti avvenimenti del passato. Immaginate se un antico cronista avesse potuto disporre di una fotocamera durante la costruzione delle piramidi: non una Canon 5d mark IV, ma una semplice scatola di scarpe con un foro stenopeico da un lato e del materiale fotosensibile dall'altro, come il bitume di giudea, sarebbe stata sufficiente per sciogliere ogni dubbio sull'enigma che avvolge da millenni la loro genesi.
La fotografia regala l'illusione di poter essere presenti a fatti e avvenimenti che hanno avuto luogo nella storia, per questo ci affascina. È qualcosa che non ha precedenti, non è mai accaduto da quando le prime orme umane sono apparse sul suolo di questo pianeta. Finora, per conoscere il passato ci siamo dovuti accontentare del racconto, orale e scritto. La scrittura è una invenzione piuttosto recente, e si può dire che la civiltà, le scienze, la storia e la nostra stessa percezione del divenire siano nati con essa. Con la scrittura l'umanità diventa consapevole della storia, della stessa esistenza delle generazioni che ci hanno preceduto, del pensiero, dei desideri e delle emozioni dei nostri antenati. È un fatto talmente sotto gli occhi di tutti che non gli si dà troppa importanza, dandolo per scontato: per esistere nel tempo è necessario lasciare una traccia del nostro passaggio, e finora la scrittura e le arti sono stati gli unici strumenti a disposizione. Intere civiltà come quella Maya sono di fatto scomparse dalla storia, e ci sono note solamente tramite le architetture che hanno lasciato, visto che i loro testi scritti sono stati deliberatamente bruciati in epoche passate da criminali come il vescovo Diego de Landa. Essendo fra le prime generazioni dotate del potere quasi soprannaturale di catturare la luce e l'immagine, non riusciamo ancora a percepirne a pieno le potenzialità, e a prevedere come potrà cambiare la vita dei posteri.
Per duecentomila anni sulla faccia del pianeta Terra non è esistito altro strumento che il racconto orale per tramandare il passato. Circa 3400 anni fa, praticamente l'altro ieri, l'uomo ha scoperto la scrittura e ne è conseguito un enorme balzo tecnologico, ed un altro balzo è arrivato con l'invenzione della stampa. In un batter d'occhio, in termini evolutivi, ci siamo ritrovati a viaggiare nello spazio. Da soli 150 anni l'uomo può VEDERE il suo passato, e l'immagine è uno degli strumenti più efficaci per trasmettere le emozioni, oltre alle informazioni. È possibile guardare gli occhi dei propri nonni da piccoli, come erano vestiti gli indiani di America o cosa accade realmente quando si fa una guerra. È possibile VEDERE la superficie della Luna, di Marte, della terra dallo spazio o l'infinitamente piccolo, attraverso foto e video (fotografia e filmati sono stretti parenti, d'altronde i fratelli Lumiere erano figli di un fotografo). La fotografia consente di viaggiare nello spazio e nel tempo, come la DeLorean o il Tardis del Doctor Who.
Tutto ciò non può che modificare radicalmente il corso dell'evoluzione umana.
I progressi tecnologici, sociali, artistici, vanno di pari passo con la capacità di archiviare e trasmettere informazioni, ed ora il progresso fotografico-informatico ha fornito ognuno di noi una bacchetta magica tecnologica chiamata smartphone che oltre a contenere più informazioni della biblioteca di Alessandria è anche capace di registrare, trasmettere e salvare all'istante, tramandandole, un numero pressoché infinito di informazioni. Potete solo immaginare le conseguenze che può avere sullo sviluppo della civiltà umana questa cosa? Di fatto, da almeno un paio di generazioni, ognuno di noi viaggia costantemente nello spazio e nel tempo senza rendersene conto. Ognuno noi ha negli occhi e nell'inconscio le immagini dei concerti di Elvis, degli ultimi istanti dell'Hindenburg o della guerra in Vietnam, e in un prossimo futuro sarà forse possibile rivivere le memorie quotidiane di noi stessi o di un parente, come raccontato in film di fantascienza come "The Final Cut" o nell'episodio "The Entire History of You" di Black Mirror. Ognuno di noi, oggi, può premere un tasto e parlare in videoconferenza con qualcuno all'altro capo del mondo, come anticipato dalla famosa scena di "2001: Odissea nello Spazio". Ricordo che quando da piccolo vidi il film per la prima volta, negli anni '80, quella scena mi lasciò a bocca aperta. Descriveva qualcosa di incredibile. Oggi non stupisce più nessuno, una videoconferenza è qualcosa assolutamente ordinario, sia sulla terra che nello spazio. Quando la fantascienza immagina qualcosa che è già alla portata della tecnologia è segno che la realizzazione di quella fantasia avverrà di lì a breve.
La nostra percezione dello spazio e del tempo è già alterata, ampliata, distorta, ed estremamente diversa da quella dei nostri bisnonni, per i quali fatti e avvenimenti distanti dieci anni o cento chilometri erano veramente qualcosa di lontanissimo. Per loro, un evento accaduto un anno prima si poteva solamente immaginare attraverso il racconto al pari di uno accaduto mille anni prima. Le loro menti davano priorità al racconto. Noi invece possiamo riviverlo anche centinaia di volte, cristallizzato nel tempo attraverso foto e filmati. Il nostro immaginario è innanzitutto visivo, forse anche per questo la letteratura è in crisi. Fra cinquecento anni sarà del tutto normale poter rivivere attraverso foto e filmati la vita quotidiana dei propri trisavoli, semplicemente sfogliando la cronologia andando indietro anche di quattro, cinque o sei generazioni. Chissà, magari non si tratterà di foto come le intendiamo oggi, ma di ologrammi come quelli dell'holodeck dell'Enterprise, e i nostri pronipoti potranno muoversi liberamente nelle stanze di casa incontrando la proiezione olografica del loro nonno bambino mentre faceva colazione sul tavolo della cucina. Non so se si chiamerà ancora fotografia, ma perché non dovrebbe in fondo? Non dobbiamo limitare il concetto di fotografia a ciò che già conosciamo.
Ipotesi fantascientifiche a parte, resta il fatto che già oggi il cellulare che ciascuno di noi ha in tasca memorizza costantemente su cloud la nostra posizione, oltre ad immagini, video e audio di tutto ciò che decidiamo di ricordare. Per i noi stessi del futuro, o per i nostri nipoti, sarà possibile ricostruire l'esistenza di una persona giorno per giorno, forse ora per ora o minuto per minuto semplicemente consultando la cronologia di GooglePhoto o database equivalenti.
La cosa può forse sembrarci strana ora, ma le rivoluzioni tecnologiche non avvengono fra grandi fanfare. Quanto più una tecnologia sembra qualcosa di soprannaturale, tanto più apparirà naturale e scontata una volta entrata a far parte delle nostre vite. Il telefono tradizionale, quello con filo e cornetta, è un oggetto assolutamente quotidiano, tecnologia obsoleta ormai, eppure è un oggetto che ha del soprannaturale a pensarci bene, quanto di più vicino possa esistere alla telepatia. Il modo in cui sono cambiate la vita quotidiana e le relazioni da quando è entrato nelle nostre case è talmente radicale che ci si chiede come come fosse possibile anche solo darsi un appuntamento prima della sua invenzione. Le relazioni umane erano in qualche modo affidate al caso, fatte di incontri fortuiti sul corso dei paesi, di bigliettini affidati ai portieri, di orari di ufficio e visite di visite di cortesia. La vita scorreva con ritmi e tempi diversi. La fotografia per come la abbiamo conosciuta ed amata finora, fatta di pellicole, stampe cartacee, fotocamere reflex ed obiettivi intercambiabili, è solo un mattoncino nella grande storia dello sviluppo tecnologico, e delle tecnologie create dall'uomo per ricordare. La fotocamera tradizionale, quella che fa solo la fotocamera (senza video o telefonate) è stata sostituita (o affiancata) di fatto dagli smartphone che consentono condivisione e backup istantaneo, si è ibridata con la telecamera, è diventata go-pro, dash cam, telecamera 3d e a 360', e chissà cosa diverrà in futuro. È stata solo l'alba di una tecnologia che, come la scrittura, accompagnerà l'uomo fino alla fine della civiltà; una tecnologia che consente di viaggiare nello spazio e nel tempo, di dialogare attraverso un muro di vetro con chi non c'è più, o di lasciare messaggi a chi verrà dopo di noi, ma la comunicazione avviene sempre a senso unico purtroppo. Attraverso il muro di vetro nessuno può sentire l'altro, l'avo non può ascoltare il suo pronipote e il pronipote non può parlare al suo trisavolo. La fotografia è una macchina del tempo che ha trovato modo di funzionare senza contravvenire alle leggi della fisica, e alla regola fondamentale per cui nessuna informazione viaggia più veloce della luce, e quindi indietro nel tempo. Almeno, così è per come la conosciamo finora, chissà che la tecnologia un giorno non consenta di superare anche questo limite. D'altronde, solo centocinquanta anni fa sarebbe sembrata pura fantascienza anche poter ascoltare il concerto di un cantante scomparso da mezzo secolo attraverso una tavoletta luminosa che può entrare in tasca, o poter registrare immagini ed audio per mezzo dello stesso identico strumento. Non ci sarebbero stati neppure i termini adatti a descrivere l'operazione (il termine stesso "filmare" non aveva senso, non essendo ancora stata inventata la pellicola, ovvero il film). Jules Verne ha predetto la videoconferenza con elaborate perifrasi, la chiamò "fonotelefoto" e la descrisse come "la trasmissione di immagini per mezzo di specchi sensibili connessi da cavi", ma lo smartphone deve essere sembrato troppo incredibile persino a lui.
Le tre leggi di Clarke (colui che invece aveva previsto la videoconferenza in 2001: Odissea nello Spazio) ci ricordano che: 1) «Quando un illustre ma anziano scienziato sostiene che qualcosa è possibile, ha quasi certamente ragione. Quando sostiene che qualcosa è impossibile, ha quasi certamente torto.» 2) «L'unica maniera per scoprire i limiti del possibile è avventurarsi poco al di là di essi nell'impossibile.» 3) «Qualunque tecnologia sufficientemente avanzata è indistinguibile dalla magia.»
Finora non mi sembra che tali leggi siano mai state smentite dai fatti.
Perdonate l'ingenuità dell'affermazione, ma da un certo punto di vista (quello semantico, non quello scientifico) si potrebbe persino dire che ogni foto crea un piccolo varco spazio temporale nel momento stesso in cui, registrando non la luce, ma le informazioni in essa contenute, le affida all'eternità. Quella luce, trasformata in informazioni e replicata a piacimento, diventa da quel momento capace di generare effetti, emozioni, relazioni, anche a distanza di centinaia di anni o di chilometri. Le informazioni veicolate dalla luce in quell'istante trascendono in tal modo, effettivamente, i confini dello spazio e del tempo.
Nel momento in cui premiamo il pulsante di scatto, le informazioni smettono di far parte del tempo presente, e divengono capaci di generare effetti in qualsiasi altro punto della storia, di qui alla fine dei tempi, ogni qualvolta incontreranno un osservatore (con tutte le implicazioni quantistiche che può implicare la cosa).