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Gianluca Laurentini

C.O.T.M. Il festival di fotografia più bello d'Italia e la lezione di René Ferretti

Il festival della fotografia Cortona On The Move è da otto anni uno dei più interessanti e seguiti d’Italia. Non si svolge in una grande città, ma in uno stupendo paesino della bassa Toscana, eppure ha conquistato l’interesse mondiale. Non ci tornavo dal 2014 e per l’ennesima volta a malincuore pensavo di dover rimandare all’anno successivo la mia partecipazione. Per questo quando gli amici di Manfrotto, fra i più importanti sponsor della manifestazione e che ringrazio personalmente, mi hanno inviato gli accrediti per tornarci ho pensato che quello fosse il segnale che mi avrebbe riportato a Cortona ed ho approfittato immediatamente dell’occasione.

Per chi non fosse mai stato al Cortona On The Move premetto che non si tratta del solito festival con qualche mostra buttata lì tanto per far qualcosa, ma che per quasi 3 mesi la splendida cittadina medievale offre alla fotografia i suoi spazi espositivi migliori e che la fotografia si respira dappertutto a Cortona, senza risultare per questo invadente per i normali turisti che invadono la città. Dopo tanti anni inoltre devo constatare che la manifestazione sembra essere cresciuta ulteriormente e che in qualche modo contribuisce alla vitalità e alla notorietà di uno dei borghi d’Italia più belli.


Le mostre sono state suddivise in 10 spazi espositivi fra interni ed esterni comprendendo sia spazi gratuiti che altri a pagamento. Fra gli spazi espositivi c’è anche la spettacolare location della Fortezza del Girifalco che domina la città antica dall’alto e con una spettacolare vista sul Lago Trasimeno. Molto interessante anche la sede di Palazzo Capannelli, uno splendido palazzo signorile abbandonato ed ora utilizzato come spazio espositivo senza essere però stato restaurato, riuscendo così ad unire il fascino dell’abbandono a quello della fotografia.

Una delle cose più belle del festival è quella di poter vedere tante persone con la reflex o la mirrorless al collo in giro per le vie della città. E’ come se il tempo si fosse fermato e scene che consideravamo la normalità fino all'avvento degli smartphone ritornano a vivere in quelle strade ed in quel periodo. Ciò ci ricorda quanto sia ancora importante l’interesse per la fotografia oggi, anche se spesso la fotografia da smartphone ha preso il sopravvento.


Forse quel che dovrebbe trovare uno spazio permanente all’interno del festival e che in un luogo così pieno di turisti da tutto il mondo sarebbe a mio modo di vedere doveroso proporre è un modo di promuovere l’Italia tutta intera e le sue meraviglie. Qualcosa fuori dal contesto generale, magari chiedendo il contributo dei giovani o delle associazioni di buon livello che ancora ci sono in Italia, se si cerca bene, per offrire a chi non ha familiarità con la fotografia più concettuale di avvicinarsi comunque al mondo della fotografia promuovendo allo stesso tempo il Bel Paese.


Quest’anno il tema era quello delle donne che raccontano il mondo dal loro punto di vista. Non erano presenti però solamente storie al femminile, ma è stata colta l’occasione per vedere il mondo, la sua complessità ed anche la sua bellezza dal un punto di vista femminile.

Fra le mostre quella che più mi ha colpito è stata “Fallout” di Sim Chi Yin. Si tratta di un raffronto fra due paesi: l’America e la Corea del Nord. Il primo è l’unico paese ad aver usato le armi nucleari in guerra ed il secondo è l’unico paese ad avere testato queste armi nel 21° secolo. Visto che in Corea del Nord non si può entrare la fotografa ha percorso il confine con la Cina alla ricerca di foto di effetto e bisogna dire che Sim Chi Yin ha una tecnica sopraffina che nelle foto a grande formato viene esaltata. Se andrete a Cortona e avrete tempo solamente per una mostra secondo me è questa quella che non dovete perdere.


Due delle più interessanti e che, anche se hanno poco in comune, possono essere considerate insieme sono quelle di Debi Cornwall dal titolo: “Welcome to Camp America: Inside Guantanamo Bay” sulla vita nel carcere di Guantanamo e quella di Allison Stewart, che ha fotografato gli zaini di emergenza che molti americani tengono sempre pronti in caso di disastro per poter sopravvivere nelle 72 ore successive e dare il via a una nuova civiltà. Foto di zaini che in realtà raccontano più dei proprietari di quanto le persone stesse potrebbero fare.


Molto interessante anche il lavoro della fotografa belga Sanne de Wilde che si è recata su un isola della Micronesia per fotografare la vita di una popolazione che non può vedere i colori (un esempio delle sue fotografie lo vedete in alto nel post). Questi acromati vedono il mondo in bianco e nero e la fotografa ha ricostruito il loro modo di vedere e le interviste fatte alle persone sono qualcosa di completamente spiazzante.


Per parlare anche di qualche connazionale riporto il lavoro visionario di Guia Besana che con il suo “Under Pressure” racconta in modo visionario il mondo delle donne. Tecnica eccellente, mai un dettaglio fuori posto per questa brava fotografa.


D’impatto anche il lavoro fatto da Tanya Habjouqa in Siria dal titolo “Tomorrow there will be apricots”, un progetto che stringe il cuore e che non è sicuramente adatto ai più sensibili, ma che ci mostra situazioni che pensiamo di conoscere e delle quali sappiamo invece poco o nulla. Solo la sensibilità di chi fotografa può illustrare con tanta potenza.

Molte altre le mostre interessanti, comprese quelle del premio Canon Giovani Fotografi, ma c’è anche ovviamente qualcosa che non ci è piaciuto: in particolare è stato dato tanto risalto al lavoro dell’israeliana Elinor Carucci, che personalmente non ho affatto gradito. L’autrice con la volontà di mostrare la realtà della maternità ha in realtà eliminato i sorrisi, i momenti buffi, la piacevolezza che si ha nel crescere dei bambini. Cercando una realtà che viene spesso sottratta agli album fotografici, come quella del pianto o della stanchezza a fine giornata ha ottenuto qualcosa di altrettanto distante dalla realtà quanto quello che ha evitato di mostrare secondo me. E poi si trovano purtroppo mostre con fotografie con inquadrature a mio modo di vedere approssimative, foto in cui il soggetto non è a fuoco ma lo è un elemento secondario, si vede molto mosso involontario in situazioni nelle quali non ci dovrebbe essere se si conoscono due nozioni di tecnica fotografica. Tutte cose che in numerose mostre di fotografia concettuali mi è capitato di vedere e rivedere. Perché alla fine come ci insegna René Ferretti (noto regista interpretato da Pannofino in Boris) le cose “fatte a cazzo di cane funzionano sempre”. Fidatevi.




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