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Immagine del redattoreRodolfo Felici

Fotografare la musica: intervista esclusiva a Francesco Desmaele

Benvenuto su www.fotografiamo.net Francesco.Grazie per questa intervista, che ci consente di aprire una finestra sul panorama della fotografia professionale in ambito musicale.

E' nato in te prima l'interesse per la musica o quello per la fotografia? In che modo sono correlati i due mondi per te?


Risposta difficile, è un po come chiedersi se sia nata prima l'uovo o la gallina.

Sono nato in una casa dove mio padre suonava la chitarra e cantava canzoni di Modugno, Mina e Vanoni, e nello stesso tempo era un discreto fotografo amatoriale, quindi sin da piccolo sono stato incuriosito ed attratto da entrambe le passioni; chitarra e Nikkormat.

Ho ricevuto la mia prima macchina fotografica “compattissima” credo a 8 anni, non ricordo con certezza il nome, ma era una fotocamera tipo instamatic con il rullino piccolissimo. Con quella scattavo con parsimonia, perché le pose erano 24, ma mi divertivo, ed un fotografo professionista amico di mio padre vedendo una mia foto disse che avevo “la stoffa” e ne fui molto orgoglioso.

Da li è arrivata la mia reflex Fuji e via a scattare provando differenti pellicole a colori e in bianco e nero, imparando a sviluppare le Ilford nel piccolo studio degli scout in parrocchia. La musica la ascoltavo solamente allora ed ero interessato più ai colori, alle emozioni, e alle facce delle persone.

Non avevo mai neppure immaginato che quella passione potesse diventare il mio lavoro, al punto che a 25 anni, quando ormai lavoravo nella musica come autore di canzoni e produttore con grandi artisti del pop italiano, non presi neanche in considerazione di fare qualche foto in quel mondo. Quando c’era bisogno di qualche foto, per copertine o giornali, chiamavo un grande fotografo di musica e mio attuale grande amico: Luciano Viti.

Guardando lui lavorare mi è tornata la voglia di riprovare a scattare, e da li ho cominciato a studiare, sbagliare, tentare, sbagliare ancora, e ad imparare scattando foto a qualunque concerto gratuito, di quelli che in estate riempivano Roma. Riuscii ad avere qualche soddisfazione con qualche foto che vendetti a qualche giornale e a qualche produzione discografica. Ma l’attrezzatura era ancora quella degli anni 80: niente autofocus, telemetro, pochi iso e pochi scatti da fare, cosi provai a farmi prestare qualche macchina fotografica evoluta dagli amici, fino ad arrivare alla Nikon F3 che tuttavia pur essendo una super macchina professionale era già una macchina superata quando cominciai ad utilizzarla: niente autofocus. Poi assaggiai la F4, e la F6, ma il digitale arrivò e con lui la mia “necessità di provare”, perché a quei tempi stampare cominciava ad essere costoso e anche le pellicole costavano. Dopo tante prove comprai una Nikon d300, una grande macchina ma “fu buio”.

Provai di tutto, ma il formato DX non faceva per me, non mi ci ritrovavo, le proporzioni e le inquadrature non mi convincevano per niente, al punto che avevo quasi preso la decisione di mollare il mestiere del fotografo, non sapevo più fotografare.

Con i soldi messi da parte comprai allora una Nikon D3s e tutto tornò più convincente, da li in poi tutto andò sempre meglio nel lavoro, e con le commissioni che aumentavano le due d3s diventarono due d4, poi due d4s, ed infine oggi D5.


Benny Greb

Ci puoi parlare di come è nato Triplefaces Project, dell'idea che c'è dietro al progetto e di dove è stato esposto?


Il progetto “Triplefaces” nasce da una giornata passata sul computer a fare editing. Ero a Los Angeles, ed avevo appena scattato delle foto ad Abe Laboriel Jr. (il batterista di Paul McCartney), in uno studio televisivo con poche luci e nessun fondale interessante. Nel minuto e mezzo che avevo avuto a disposizione per scattare mi venne in mente solo che volevo un primo piano pulito senza fronzoli, con gli occhi nella camera.

Abe fu molto gentile come sempre, e tornato in albergo ad editare la foto mi fermai a pensare a quanto davvero noi guardiamo di una persona, di una faccia, e cosa ci colpisce e perché.

Cominciai ad ingrandire la foto del primo piano di Abe, continuando a scoprire nuovi punti del suo viso che non mi avevano colpito all’inizio e che invece erano interessanti, così cominciai a duplicare i livelli della foto su photoshop, e a sovrapporli, uno più grande uno più piccolo, una parte del viso ecc. alla fine, secondo me, trovai un equilibrio nel proporre la foto divisa in tre sezioni, ognuna imposta per mostrare qualcosa di diverso della stessa faccia.

La mandai ad Abe, che ne fu molto contento, e provai a farne altre con altri grandi musicisti amici li a los Angeles, e tutti apprezzarono, cominciarono a usare le foto sui social network e da li si creò un piccolo interesse che ha portato a farne un progetto reale, per ora incentrato specialmente sulle facce dei batteristi di tutto il mondo, e che è sfociato in due mostre una a Londra e una a Manchester, e sfocerà sicuramente ancora in un paio di mostre e in un libro entro la fine di questo anno. Il progetto Triplefaces, si sta allargando pero’ rapidamente ad altri tipi di musicisti ed attori internazionali, e spero di poter fare presto un ulteriore annuncio su una nuova evoluzione di questo strano sogno triplo.


Come mai prediligi ritrarre batteristi? Per sua natura il batterista è l'elemento del gruppo che rimane più nascosto sul palco, dietro alla strumentazione e agli altri componenti. Ci sono difficoltà tecniche oggettive nel ritrarre batteristi all'opera? Se si che soluzioni adotti?


Ormai in giro per il mondo, sono spesso chiamato “il fotografo dei batteristi”, la cosa è nata per caso, ho fatto degli scatti a Roma, in una clinic di batteria a Keith Carlock (batterista di Sting, James Taylor, Steely Dan, Toto). Era una delle prime volte che scattavo con musicisti di così alto livello e provai a dare tutto me stesso per rendere la musicalità del gesto e non solo le solite facce contratte nello sforzo del suonare. Il teatro era bello ed il feeling fu subito quello giusto, Keith è una persona straordinaria, e così le foto vennero particolarmente bene, e lui mi chiamo subito a fare delle altre foto in un festival in Belgio, mi presentò ad altri grandi batteristi, Thomas Lang, Benny Greb e molti altri, e così la cosa mi è "sfuggita di mano" ed ora giro il mondo lavorando con molti batteristi.

Le questioni tecniche da affrontare per scattare buone foto ai batteristi sono molteplici e non sempre superabili, in sostanza molto spesso devi adattarti alla situazione che trovi sul palco, ed intendo, poche luci e mai disposte ad illuminare bene il batterista, posizione da cui scattare spesso disagevole, posizionamento dello strumento che ostacola per sua natura la visione del musicista che suona (piatti, aste dei microfoni, ecc). Se sei parte dello staff del gruppo, cioè sei il fotografo ufficiale, a volte sei ascoltato dal datore luci, e comunque puoi trovare qualche piccolo posto nascosto sul palco da dove scattare, ma in generale è sempre abbastanza complesso trovare la giusta posizione per una inquadratura decente. Se con l’esperienza e l’occhio riesci a trovare un modo per riprendere il musicista mentre suona, devi sperare che qualcuno dall’olimpo delle luci ogni tanto accenda il faro sul batterista mentre ha le bacchette bene in vista se no le foto non serviranno a nulla.

Una cosa che non tutti sanno, e che aumenta notevolmente la difficoltà di questo tipo di fotografie, è che per “fermare” (ghiacciare) le bacchette di un batterista mentre picchia sul rullante, spesso si deve scattare tra il 1000 di secondo e il 1200 di secondo. Questo insieme di cose rende necessaria una attrezzatura adeguata per aiutarci nel compito.


Thomas Lang

Che ottiche e quali fotocamere utilizzi per ritrarre gli artisti all'opera in situazioni di luce piuttosto delicate come possono essere quelle di un concerto? Su un palco le luci cambiano in continuazione, fa parte dello spettacolo. Come affronti questo problema (se è un problema)?


Sotto palco ci voglio assolutamente due corpi macchina, non si ha il tempo e la maniera ne lo spazio per cambiare continuamente obiettivo, in più spesso se si lavora come press photo hai solo il tempo di 3 canzoni massimo per scattare quindi bisogna avere concentrazione e idee chiare sempre e un po di sana capacità di improvvisazione. Io uso due corpi macchina Nikon D5 con il corredo classico per i Live, Nikon af-s 70-200mm f/2,8 fl ed VR 2, Nikon Af-s 24-70mm f/2,8 ed VR, Nikon Af-s 14-24mm f/2.8G ED. A volte uso un fisheye sigma solo per rendere più “artistica” la foto, ma in realtà io penso le foto come “utilizzabili” per quel che riguarda la stampa, su magazines o cover di cd, insomma io le foto troppo sovraesposte o super colorate o “inclinate”, che sono palesemente inutilizzabili nella stampa non le scatto.

L’esperienza mi dice che è “meglio sottoesposto” che “sovraesposto”, quindi cerco di lavorare uno stop o due sotto il giusto rapporto, perché cambiando continuamente le luci è difficile non sbagliare o essere sorpresi da lampi improvvisi che bruciano le foto. Scelta determinante per me è usare la macchina tutta in manuale e modificare continuamente i parametri della F, cercando di toccare il minimo possibile il tempo di scatto, ISO assolutamente controllati manualmente e punto unico di fuoco, se possibile continuo. Consigli pratici? scattare prima le foto per “lavoro” quelle che si debbono poter vendere, poi magari osare qualcosa di differente che magari rende una foto “artistica”.

Ovvio che se invece lavori come fotografo ufficiale della band la cosa cambia, perché hai visto le prove dello spettacolo e sai più o meno come saranno le luci o i movimenti degli artisti sul palco, puoi a volte salire sul palco e dopo qualche data del tour sai esattamente dove metterti per scattare le foto e hai tutto il tempo del concerto per scattare. Ma ogni cosa si conquista con l’impegno, la fatica, lo studio, e la passione, quindi bisogna dimostrare che si sanno fare foto buone in qualsiasi condizione o situazione, gli americani ci insegnano che bisogna essere “sempre pronti e preparati” solo così si ottengono nel tempo i lavori importanti.


Ci sono immagini a cui sei particolarmente legato o aneddoti che ti piacerebbe raccontare riguardanti il tuo lavoro?


Sono un fotografo particolarmente meticoloso e per anni non sono stato molto soddisfatto delle mie foto, vedevo le cose solo dal punto di vista degli errori o delle complicazioni tecniche, e mi sfuggiva il punto di vista emozionale, ma quando, con mia sorpresa, ho visto che gli artisti con cui lavoravo amavano quell’aspetto, mi dicevano che “sentivano la musica” nelle mie foto e non vedevano per nulla quei piccoli difetti che per me erano evidenti, ho compreso che l’essere professionista non puo’ essere solo cercare di fare la foto perfetta tecnicamente, ma quando si è giunti ad un alto standard tecnico (quando si è “consistent” come dicono in US), la cosa da ricercare è l’emozione che la foto dà a chi la guarda.

Ci sono ovviamente foto che mi ricordano momenti speciali, parlando ovviamente del lato professionale, devo dire che ho la grande fortuna di lavorare con grandi artisti e alcuni di loro sono diventati negli anni amici o quasi amici, questo mi ha permesso di vivere con loro anche parte della vita dietro le quinte, e fatto comprendere meglio anche il senso del loro modo di suonare o di presentarsi al pubblico il che mi aiuta molto nel trovare la sintonia mentre li fotografi.

molte delle foto che scatto nella vita dietro le quinte non saranno mai pubblicate, una delle cose che posso consigliare a tutti i fotografi, specialmente i professionisti nuovi arrivati, è che il rispetto della privacy degli artisti e delle loro famiglie, il rispetto della loro fiducia vi farà molto più ricchi della foto rubata di nascosto e venduta per un pugno di euro.

Di aneddoti ne potrei raccontare tanti, il primo che mi è tornato in mente e che non ricordavo quasi, è avvenuto ad un concerto della Mannoia a Roma, credo al tenda teatro, anni fa, eravamo una selva di fotografi sotto palco, ed io non ricordo bene perché avevo un solo corpo macchina dietro. la nostra posizione di scatto era abbastanza lontana dalla posizione artista, cosi avevo montato il 70-200, improvvisamente Fiorella che conosce molto bene il suo mestiere, ci vide e venne verso di noi sorridendo, però per scherzare non si fermò ai soliti 2-3 metri ma venne proprio sopra la mia posizione a 50 cm dalla mia lente, che ovviamente era quella sbagliata, così mentre lei si avvicinava io mi abbassavo fino a buttarmi per terra per cercare di scattare quella foto “unica”; risultato io buttato per terra, lei che sorrideva, i fotografi intorno che non capivano e foto sfuocate lo stesso…. pero’ mi sono divertito…e da li non vado sotto palco senza avere due corpi macchina con montate su uno una lente lunga e sull’altra un grandangolo.

In un’altro contesto, con artisti americani, il musicista che dovevo fotografare, di cui non faccio il nome, era noto come un uomo molto complesso e che non amava i fotografi, successivamente ne compresi i comprensibilissimi motivi (non dimentichiamoci mai dello stress di viaggi infiniti, difficoltà tecniche sul palco, incapacità di molti organizzatori di fornire un servizio di palco-suono-luci con un minimo di qualità, e problemi di tutti giorni che anche gli artisti subiscono). Effettivamente per i primi 15 minuti della performance, non mi riusciva di scattare una foto decente, perché le espressioni facciali di quell’artista mostravano tutto il fastidio di avermi in sala. Non sono certo un tipo che demorde, ma proprio non si riusciva a fare un buon lavoro. Così decisi di fermarmi e aspettare un po per vedere se l’atmosfera in sala migliorava. Notai dopo un po, che questo musicista sorrideva guardando un lato del palco, un sorriso dolce e sereno, così decisi di muovermi e mettermi nel lato buio della sala, proprio dietro, in linea d’aria. Nel punto dove guardava sembrava esserci una bella ragazza bionda. Scattai poche foto, proprio per non mancare di rispetto a quel rapporto privato che mi si mostrava libero da sovrastrutture. Gli scatti che vennero fuori furono davvero belli, e lui era finalmente sorridente. La bella ragazza bionda era la sua futura moglie, e diventammo con il tempo buoni amici. Questo episodio mi insegnò che c’è un tempo e un modo per tutto, e che a volte insistere a voler scattare foto in una situazione non propizia non porta a nulla; mi insegnò che bisogna imparare a guardarsi intorno e non solo a vedere le cose, ma a cercare di leggerle in un modo differente, e mi ricordò ancora una volta, che il rispetto della privacy altrui e della vita di un artista ci permette di comprenderne appieno la grandezza, e che non ci sarà mai nulla che vale di più del saper capire quando è il momento di mettere via la machina fotografica e non interferire con la vita degli altri inutilmente.

Mike Portnoy

La fotografia è per te un percorso di ricerca personale? Ti ha aperto porte o strade che non avresti immaginato di percorrere, e permesso di incontrare persone interessanti?


Devo dire che mi ritengo un uomo oggettivamente fortunato, in ogni attività che ho intrapreso negli anni, dai mille lavori nel campo musicale musicale, al mondo del multimediale, fino alla fotografia, passando per mondi ed esperienze differenti, sono sempre riuscito ad esprime qualcosa della mia personalità e delle mie capacità, sono riuscito ad imparare qualcosa, certo c’è sempre stato tanto da studiare e molto molto impegno, a volte economicamente le cose non sono andate bene, ma umanamente sono sempre cresciuto. Visto che mi chiedi se la fotografia è un percorso di ricerca per me, io devo premettere che la vita è una cosa estremamente seria, e che chi fa un lavoro come il mio, deve sempre essere molto grato di potersi “divertire e sudare” facendo quello che ama fare, e deve rendersi conto di essere estremamente privilegiato rispetto a chi fa altri lavori.

La sfida maggiore è trovare sempre una buona ragione per andare avanti quando il lavoro che si fa lo si odia ed è sottopagato, o se non sono rispettati i nostri diritti; quando non ci si riesce a formare una famiglia perché non si può richiedere un mutuo perché si lavora a tempo determinato, o quando da un giorno all’altro viene a mancare il lavoro.

Tornando alla mia risposta, direi che come tutti cerco di portare la barca della mia vita nella direzione che vorrei, ovviamente dovendo sempre modificare la rotta giorno per giorno, in base ai venti contrari e al mare grosso, o ai giorni di bonaccia. Mi rendo conto di essere cresciuto molto nel modo di fare le foto, sono meno “spaventato” dalla tecnica, e dalle difficoltà improvvise che devo affrontare, ed ho d'altro canto una maggiore consapevolezza della pressione che mi si mette addosso perché mi si richiedono sempre ottime foto, ma nel complesso cresco un poco ogni giorno e questo rende la mia vita qualcosa di migliore.

Ho la fortuna di aver conosciuto davvero tante persone interessanti, dai tecnici degli studi di registrazione, agli artisti, dai produttori, ai grafici, dalle modelle agli art director, con molti sono riuscito a creare un feeling che mi ha fatto capire delle cose che mi sono state utili nelle situazioni più disparate. Del mio percorso professionale fino a qui voglio ricordare due persone speciali, con cui ho avuto modo di lavorare brevemente, due artisti che non rappresentano un punto di arrivo professionale o l’inizio di nuove amicizie, ma sono sempre state due persone importanti nella mia vita da ragazzo, due di cui ho sempre sentito parlare in casa da mio padre, un po come degli zii che non hai mai incontrato ma che sai che esistono, I loro nomi sono Franco Cerri uno dei più grandi chitarristi jazz italiani ed europei, ed Ornella Vanoni. Lavorare per loro, è stato come fare un omaggio anche a mio padre loro grande ammiratore che purtroppo non ha potuto vedere quelle foto perché scomparso qualche anno prima di quei concerti.

Non avrei mai immaginato di poter fare il fotografo quando presi in mano per la prima volta una macchinetta fotografica, ma la vita è ironica, e sono qua fino a prova contraria a fare questo stranissimo mestiere.



Quali generi musicali prediligi? Ci sono autori contemporanei, in ambito fotografico o musicale, che consiglieresti di seguire? O autori del passato che sono stati un riferimento per il tuo lavoro?

La musica ha fatto parte integrante della mia vita da sempre, dai grandi gruppi degli anni 70 e 80, al prog, al pop e al rock alla musica classica, all'opera. Nel periodo nel quale non trascorrevo un minuto senza musica in testa sentivo un grande Vasco Rossi, mischiato a Fossati, per parlare di italiani, passando per tutti i grandi e piccoli del pop etc.

Oggi che amo il silenzio tra un concerto e l’altro sento jazz contemporaneo, ma anche rock di Los Angeles e UK, un po di pop fa sempre bene, e seguo tutti i gruppi nei quali suonano i diversi amici musicisti. Produco da sempre qualche cd di musica, ed ho finito da poco un cd di Jazz a NYC.

Per quel che riguarda la fotografia i grandi sono sempre importanti da studiare, perché chiunque abbia fatto qualcosa che si ricorda ed abbia cambiato qualcosa nel modo di fare foto, dalla tecnica all’inquadratura, o che ha uno stile riconoscibile, deve essere guardato e studiato per imparare.

Devo ammettere che non sono molti quelli che dagli anni 80/90 in poi mi hanno fatto saltare sulla sedia, pero’ posso citarne alcuni nomi che secondo me bisogna conoscere.

Ognuno ha scattato in maniera differente e in luoghi e contesti differenti, da Robert Capa a Dorothea Lange ed a Margaret Bourke-White e Edward Sheriff Curtis, da Irving Penn ad Richard Avedon ed Helmut Newton, da Elliott Erwitt ad Annie Leibovitz e Steve McCurry, da joey Lawrence a Mark Seliger a Sebastiao Salgado, da Robert Doisneau a James Nachtwey fino a Martin Schoeller che io non amo particolarmente ma a cui non ci si può evitare di dare un’occhiata. Per gli italiani direi che bisogna conoscere almeno: Francesco Cito, Oliviero Toscani, Felice Beato, Armando Gallo, Mario De Biasi, Luciano Viti, Franco Fontana, Letizia Battaglia e molti molti altri contemporanei.

Io mi ispiro indegnamente solo ad un grandissimo “fotografo”, Caravaggio.






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