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Immagine del redattoreRodolfo Felici

oggi sono 50 anni dalla prima di 2001: parliamo di Kubrick fotografo.


Rocky Graziano

Punto di riferimento per chiunque si occupi di cinema, è stato capace di rivoluzionare qualsiasi genere cinematografico abbia affrontato, con un talento ed un perfezionismo senza confronti. Ma prima ancora di divenire un mostro sacro del cinema Stanley Kubrick è stato (e lo è rimasto per tutta la sua vita) un eccellente fotografo.

Si può dire infatti che la cifra stilistica di tutta l’opera di Kubrick sia proprio frutto di questo connubio fra le sue doti eccezionali di fotografo e quelle di narratore. Il piccolo Stanley ebbe in regalo dal padre la sua prima macchina fotografica all’età di tredici anni; affascinato dalla tecnica fotografica fin dalla più tenera età, nel 1945 scatta una foto straordinaria ad un edicolante rattristato della notizia della morte del presidente Roosevelt, che venderà alla rivista Look.


Negli anni successivi seguirà studi artistici di fotografia (che gli rallenteranno il percorso scolastico). La passione per la poesia simbolistica e la filosofia lo porteranno in breve a conoscere il pensiero di Nietszche. Dopo il diploma comincerà a lavorare per Look come fotografo, diventando il collaboratore più giovane della rivista. A diciannove anni trascorre cinque sere la settimana nella sala di proiezione del Museum of Modern Art di New York a guardare vecchi film e dopo quattro anni di studio all’accademia di arte cinematografica, pagati grazie allo stipendio da giornalista locale, deciderà di dedicarsi attivamente al cinema.

Ottenuto un discreto successo con i primi cortometraggi, nel 1953 (a soli venticinque anni), deciderà di abbandonare definitivamente il lavoro alla rivista Look e di iniziare la carriera di regista a tempo pieno. Della sua attività da fotografo rimangono oltre 20mila scatti conservati alla Library of Congress di Washington ed al Museum of the City of New York. Così come ogni fotogramma dei suoi film si può leggere come una foto (o come un dipinto nel caso di Barry Lyndon, in cui ogni scena è dichiaratamente ispirata ad un dipinto del ‘700), ogni scatto della sua precocissima carriera di fotografo si può considerare un fotogramma di un film; ciascuna delle sue immagini racconta una storia, sospesa fra un prima e un dopo. Kubrick è interessato a raccontare una storia per immagini, più che a cercare di catturare l’istante decisivo. Era proprio questo stile narrativo che caratterizzava la rivista Look (e quello che era considerato il suo diretto competitore, Life magazine).


Fra i servizi con immagini di taglio cinematografico che realizzerà per la rivista Look ricordiamo quello sul pugile italo americano Rocky Graziano, che in questo gioco di rimandi fra cinema e fotografia anticipa e forse ispirerà il Toro Scatenato di Martin Scorsese, Portogallo che racconta il viaggio in terra lusitana di due americani nell’immediato dopoguerra o Crimini, che testimonia l’arresto di due malviventi seguendo i movimenti dei poliziotti, le loro strategie, fino all’avvenuta cattura. Il metodo di Look, che era poi il medesimo di Life, prevedeva che il soggetto fosse seguito costantemente, e fotografato nell’arco di una o più giornate in tutto ciò che faceva.

Le immagini, apparentemente spontanee, erano in parte costruite e progettate al fine di raccontare una storia, come nel cinema. Uno dei metodi preferiti da Kubrick per ottenere pose il più possibile naturali era quello di nascondere un flessibile nella manica della giacca e di azionare l’otturatore nascondendo il pulsante di scatto nel palmo della mano. Negli interni cercava di sfruttare il più possibile la luce naturale, cosa che continuerà a fare in tutta la sua carriera di regista. In questa prima fase della sua carriera Kubrick ha imparato - attraverso la fotografia - a raccontare storie per immagini, cosa che continuerà a fare per il resto della sua vita entrando nella leggenda.

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